Ultimamente apprezzo sempre più le cose lievi, inconsistenti,
quasi evanescenti, la neve, le nuvole, la nebbia che nasconde le cose e allo
stesso tempo le svela.
Ma anche i flash, le scintille istantanee dei filobus, che
mi destano dai miei pensieri e un attimo dopo svaniscono.
Io ci vedo della poesia nella brace che si consuma lenta
mentre cuciniamo all'antica, quando non eravamo ancora figli della fretta, nella
cenere che cade silenziosa dalla grata come neve sporca, da albero a legna a
cenere, dalla maestosità della chioma all'evanescenza della polvere.
È come camminare nel chiarore dell’alba, affondare le mani nella
cenere ormai fredda e ritrovar la vita che è appena stata e sentire tra le dita
la memoria lunga del tepore.
Abbiamo tutti pezzi di strada sparsi in giro, tra grumi di
verde, di cemento e di fango. E non riesco ad afferrare con lo sguardo neanche
le mie orme nei giorni di ogni giorno, dondolando tra pruriginosi e
attanaglianti nichilismi.
Ma nascosto nella nebbia, dietro le parole di un’altra anima,
chiusa in un mondo piccolo, riesco a centrare il bersaglio. E mi sale una
nostalgia che gira a vuoto come un’ape che ronza senza fiori.
L’abbraccio in cui sarò in pace ha il rumore dei pattini sul
lungomare quando è già sera.
Certi suoni li sento nel cuore prima che nelle orecchie e
certe luci dalla via del nervo ottico mi prendono dritte la strada dell’anima e
ne rischiarano il fondo.
Suoni e luci come quei sassi grossi piazzati a pelo d’acqua
sopra il fiume che ti aiutano a ritrovarti sull'altra sponda. E l’altra sponda
altro non è che l’altra faccia della luna, il lato bello delle cose, che non
sono cambiate loro ma sei tu a vederle in altro modo.
L’obiettivo è non imparare la rotta ma ricordare il
mare.