venerdì 5 febbraio 2016

“Bisogna assomigliare alle parole che si dicono. Forse non parola per parola, ma insomma ci siamo capiti.”

Una stanza vuota, mi osserva sardonica, strapiena di aria.
Mi piace la pietà della polvere, granelli che preservano il passato, però non sopporto questa specie di fuliggine, la patina d’ambiguità che avvolge e impantana il mondo. 
Diffido del silenzio e mi fanno paura le parole.
Sono un azzardo, una pretesa ingenua di chiarezza a tutti i costi.
Spesso mi confondono, con la loro ipocrisia, sono come atteggiamenti subdoli, sorrisi obliqui.
Nascondono la tortuosità dei gesti, il doppiofondo dei rapporti che non sono mai quello che appaiono.
Odio le parole complicate, arrugginiti pensieri nei meandri della mente. 
 Spesso le parole nate per dire tornano utili solamente per tacere.
A volte penso che si dovrebbe fare come il pesce rosso nella boccia, quando muove le labbra come se dovesse dire qualcosa ma non emette alcun suono e tu al di là del vetro dovresti capire lo stesso.
Amo le parole semplici e sensate, allineate nero su bianco, nell’aria rare e rotonde.
Ho brama di autenticità che non sia innocenza ma nudità dell'intenzione, senza che nel breve percorso sinaptico dall’idea all’azione si camuffi in modo ambiguo.







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